REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’Appello di Palermo – Sezione Prima Civile – riunita in camera di consiglio e composta dai seguenti magistrati:
1) Dott. Michele Perriera Presidente
2) Dott. Francesco Micela Consigliere
3) Dott. Giovanni D'Antoni Consigliere
di cui il terzo relatore ed estensore, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 15272015 del R.G. di questa Corte di Appello, promossa in questo grado
da
[OMISSIS] appellante
contro
[OMISSIS] appellato/a
con l’intervento di
PROCURATORE GENERALE
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Conclusioni per l’appellante:
Disattesa ogni contraria istanza, domanda, eccezione e difesa. Accogliere il presente appello, riformare l’impugnata sentenza e stabilire che nulla è dovuto dal sig. [OMISSIS] alla Sig.ra [OMISSIS] a titolo di mantenimento della stessa. Con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente giudizio.
Conclusioni per l’appellata:
Ritenere e dichiarare infondate in fatto e in diritto, e per l’effetto rigettarlo, l’appello proposto dal [OMISSIS] confermando integralmente il contenuto della sentenza. Ammettere i mezzi istruttori dedotti in primo grado.
Conclusioni per il Procuratore Generale:
Chiede la conferma del provvedimento impugnato.
FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza n. 3373/2015 dei giorni 2.3/27.5.2015 il Tribunale di Palermo ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario - dal quale non erano nati Figli - contratto il [OMISSIS] tra [OMISSIS] ed ha posto a carico del primo l’obbligo di corrispondere un assegno mensile di 250,00 euro alla seconda.
2. Il [OMISSIS] proponendo appello con ricorso depositato il 16 luglio 2015, ha chiesto l’eliminazione dell’obbligo di contenuto economico fissato dal primo giudice.
3. Nel contraddittorio con la [OMISSIS] ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado, e col Procuratore Generale, la causa è stata rimessa all'udienza collegiale del 13 novembre 2015 ed in pari data assunta in deliberazione sulle conclusioni trascritte in epigrafe.
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4. Preliminarmente, e il caso di evidenziare che la determinazione dell’assegno di divorzio é indipendente delle statuizioni economiche operanti in vigenza di separazione dei coniugi, di tal che l'attribuzione o meno dell’assegno divorzile non può fondarsi sul rilievo che negli accordi di separazione i coniugi avevano pattuito o escluso il versamento di un assegno per il mantenimento della moglie, dovendo comunque il giudice procedere alla verifica del rapporto delle attuali economiche delle parti in relazione al pregresso tenore di vita coniugale.
Ai fini che in questa sede interessato, quindi, non ha valenza determinante il fatto che in sede di separazione consensuale (omologata dal Tribunale di Palermo il 18 settembre 1998) le parti avessero convenuto il pagamento mensile di un assegno a carico del marito.
5. E' noto, poi, che i provvedimenti adottati dal Presidente del Tribunale in esito all’udienza destinata al tentativo di conciliazione nel procedimento di divorzio, cosi come quelli adottati dalla Corte di Appello in sede di reclamo, non hanno natura anticipatoria del merito della causa e rispondono all’esigenza di regolamentare provvisoriamente i rapporti tra le parti nelle more della decisione.
Non ha valenza determinante o orientativa, pertanto, neanche l’ordinanza del 22 giugno 2012 con cui questa Corte d’Appello, in parziale riforma dell’ordinanza presidenziale del 14 ottobre 2011 (che aveva eliminato l’obbligo di pagamento dell’assegno mensile), ha posto a carico dell’obbligo di corrispondere alla moglie un assegno mensile di euro 250,00.
6. Tanto precisato, e posto che l’unica questione devoluta all’apprezzamento della Corte è costituita dalla sussistenza, o meno, delle condizioni per porre a carico dell’appellante un assegno divorzile, va subito detto che l’appello, sullo specifico punto, merita accoglimento, dovendosi per l'effetto riformare la sentenza di primo grado.
Il primo giudice ha invero ben ricostruito le condizioni delle parti e la loro evoluzione nel tempo, ed ha anche illustrato le regole che disciplinano la specifica materia. Focalizzando conclusivamente l’attenzione soltanto sulla sproporzione tra gli attuali redditi delle parti, ha tuttavia mostrato di non aver fatto buon uso dei principi de quibus.
E' certo, infatti, che all’epoca della separazione, avvenuta nell'ormai lontano amo 1998, la [OMISSIS] lavorava precariamente percependo un reddito mensile oscillante tra lire 400.000 (tanto ha dedotto il ricorrente in sede di comparizione dinanzi al Presidente dei Tribunale nella causa di divorzio) e lire 5-800.000 (come dedotto invece dalla resistente, senza tuttavia offrire prova al riguardo), mentre [OMISSIS] all’epoca trentacinquenne, già aveva iniziato a lavorare nella Polizia di Stato; all'epoca i coniugi vivevano in un appartamento di tre vani condotto in aflitto, sebbene la [OMISSIS] proprietaria dell’appartamento nel quale oggi abita; oggi [OMISSIS] ha avuto un figlio nato dall’unione con un’altra donna che percepisce un reddito annuo di euro 37.994,00, mentre la [OMISSIS] a far data dal 2006 ha visto finalmente stabilizzata la propria condizione lavorativa e presta attività quale dipendente [OMISSIS] con un reddito lordo che nel 2014 è stato pari ad euro 18.303,00 e che nel 2009 ha avuto un picco di euro 21.123,00 (come risulta dall’estratto conto previdenziale in atti, sottolineandosi, a tal riguardo come siffatto estratto conto non evidenzi alcun reddito negli anni precedenti al 2002, a testimonianza della condizione di effettiva precarietà che caratterizzava la non meglio specificata attività lavorativa prestata evidentemente “in nero" dall’appellata al tempo della vita coniugale).
Non v’è dubbio, quindi, che mentre il le condizioni economiche dell’appellante hanno seguito l’evoluzione legata alle ordinarie dinamiche salariali connesse alla progressiva anzianità, e sono state caratterizzate a far data dal 2005 dall’emergenza delle esigenze dovute alla nascita di un figlio (che ha diritto ad essere mantenuto ed allevato in coerenza con le capacità economiche e contributive di entrambi i genitori), quelle dell’appellata si segnalano per la stabilizzazione (che offre ampie garanzie in termini di sicurezza avuto riguardo alla natura di ente pubblico del datore di lavoro) oltre che l’incremento in termini assoluti.
Appare in verità evidente che le condizioni economiche della [OMISSIS] devono a questo punto considerarsi idonee a garantirle un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di vita in comune col marito, e paragonabile a quello cui la stessa avrebbe potuto aspirare se non fosse intervenuta la separazione, dovendosi in proposito sottolineare come risulti sostanzialmente irrealizzabile I’aspirazione a non veder minimamente intaccato il proprio tenore di vita anche a seguito della separazione, e come risulta invece inevitabile per entrambi gli interessati un certo deterioramento delle rispettive condizioni quale effetto diretto della separazione, ove si ponga mente anche alla duplicazione di tutte quelle voci di spesa fissa che se i coniugi non si fossero separati sarebbero state affrontate sinergicamente così consentendo ad entrambi di ritagliare una porzione di reddito da destinare alla complessiva qualificazione del tenore di vita.
L'attività lavorativa stabilmente esercitata quale dipendente della [OMISSIS] in buona sosta, costituisce circostanza che garantisce alla [OMISSIS] di mantenere, con le proprie capacità sostanze, lo stile ed il tenore di vita cui la stessa avrebbe potuto aspirare se, da lavoratrice precaria qual’era in epoca precedente al 1998, avesse continuato ad essere moglie di un dipendente del Ministero dell’Interno, Dipartimento della P.S.
In assenza di un "apprezzabile" deterioramento delle proprie condizioni economiche, va peraltro aggiunto un cenno alla durata della vita in comune, che nella specie non è stata caratterizzata dalla nascita di figli ed è stata particolarmente breve sì da non poter avuto efficacia condizionante sulla formazione del patrimonio delle parti, risultando con ciò in definitiva esclusa la rilevanza di qualsiasi altra circostanza astrattamente valutabile ove mai in punto di “an debeatur” fosse possibile - contrariamente a quanto questa Corte ritiene - porre a carico dell’odierno appellante il pagamento di un assegno divorzile, ovverosia di quell’assegno che ha natura eminentemente assistenziale ed è fondato sull’obbligo di solidarietà post-coniugale che nella specie non ha più ragion d'essere.
E' appena il caso di evidenziare che le richieste istruttorie dell’appellata - già formulate in prime cure e non ammesse - attengono a circostanze del tutto inconferenti (conte la relazione adulterina del [OMISSIS] in tesi risalente all'epoca della vita in comune, e la volontà manifestata dallo stesso di non aver figli).
7. Revocato l’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile (con decorrenza dalla data della presente sentenza, versandosi in ipotesi di contribuzione destinata all’immediato utilizzo da parte del beneficiario), ritiene la Corte che risponde ad equo uso di giustizia la compensazione delle spese del giudizio, avuto riguardo alla natura della causa, nonché alle ragioni ed agli effetti della decisione.
L’accoglimento dell'appello esclude la sussistenza delle condizioni di cui all'arL 13, comma 1 quater, D.P.R. 30.5.2002, n. 115 (nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. 24.12.2012, n. 288).
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunziando, respinta ogni altra domanda, eccezione e difesa, sentite le parti ed il Procuratore Generale, in parziale modifica della sentenza del Tribunale di Palermo n. 3373 dei giorni 2.3/27.5.2015, ed in accoglimento dell’appello in tal senso proposto da [OMISSIS] nei confroni di [OMISSIS] revoca - con decorrenza dalla data della presente sentenza – l’obbligo, posto a carico del primo, di corrispondere alla seconda un assegno divorzile.
Conferma nel resto la sentenze di primo grado, e dichiara le spese del giudizio interamente compensate tra le parti.
Così deciso a Palermo, nella camera di Consiglio della prima sezione civile della Corte di Appello, il 15 novembre 2015.