Nelle ultime concitate settimane, il Governo ha dettato ed esteso su tutto il territorio nazionale misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cfr. mappa del contagio in Italia): tali misure, adottate in attuazione del Decreto Legge 23 Febbraio 2020 n. 6, hanno avuto e continueranno ad avere nel prossimo futuro un radicale impatto sulle nostre abitudini di vita e loro eventuale violazione è foriera di responsabilità penali a carico del trasgressore, anche ai sensi dell’art. 650 cod. pen., fatta salva l’eventuale configurazione di ulteriori o più gravi reati.
Tali misure sono in parte contenute nel D.P.C.M. 08.03.2020: ampliate ed estese su tutto il Territorio Nazionale dal D.P.C.M. 09.03.2020 e dal D.P.C.M. 11.03.2020, comprendono, per esempio, il divieto vigente su tutto il Territorio Nazionale di ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico (art. 1, comma 2, D.P.C.M. 09.03.2020), la sospensione dei servizi e delle attività commerciali (se non nei limiti e salve le eccezioni di cui al D.C.P.M. 11 Marzo 2020) o, ancora, l’obbligo per il datore di lavoro di adottare particolari cautele atte a prevenire la diffusione del virus (quali il ricorso, ove possibile, a forme di lavoro agile o l’adozione di idonei protocolli di sicurezza, come previsto dall’art. 1, num 7, D.C.P.M. 11 Marzo 2020).
Particolare attenzione merita l’obbligo incombente sulle persone fisiche di evitare tutti gli spostamenti in entrata ed in uscita dal territorio nazionale, nonché all’interno del medesimo territorio “salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza” (art. 1, lett. a, D.C.P.M. 08 Marzo 2020, esteso su tutto il territorio nazionale dall’art. 1, comma 1, D.C.P.M. 09 Marzo 2020): ciò costituisce, evidentemente, un divieto assoluto per quanti si trovino in stato di sorveglianza sanitaria o isolamento o che comunque presentino sintomi del contagio.
Quanto alle “comprovate esigenze” di cui alla norma sopra richiamata, a mezzo di propria direttiva del 08.03.2020, il Ministro dell’Interno ha osservato che in apposita circolare che “..attesa l'ampia estensione geografica delle aree interessate, nonché l'elevato numero dei potenziali destinatari dell'applicazione delle misure in questione, la previsione normativa in esame non contempla l'adozione di procedure di autorizzazione preventiva agli spostamenti. Si rende, pertanto, necessario adottare, nell'ambito del più ampio piano coordinato di controllo del territorio a mente della legge n. 128/2001, specifiche modalità di vigilanza sull'osservanza delle cennate prescrizioni, anche ai fini della verifica della rispondenza delle motivazioni addotte dagli interessati ai presupposti indicati dalla disposizione sopra citata”.
A tale proposito, precisa il Ministro che “Rileveranno, in proposito, elementi documentali comprovanti l'effettiva sussistenza di esigenze lavorative, anche non indifferibili, a condizione naturalmente che l'attività lavorativa o professionale dell'interessato non rientri tra quelle sospese ai sensi delle vigenti disposizioni contenute nei diversi provvedimenti emanati per far fronte alla diffusione del COVID-19 ( come, ad esempio, i servizi educativi per l'infanzia e le attività didattiche di cui all'art. 1, comma 1 lett. h) del d.P.C.M.), ovvero di situazioni di necessità che, in sostanza, devono essere identificate in quelle ipotesi in cui lo spostamento è preordinato allo svolgimento di un'attività indispensabile per tutelare un diritto primario non altrimenti efficacemente tutelabile; o motivi di salute che si devono identificare in quei casi in cui l'interessato deve spostarsi per sottoporsi a terapie o cure mediche non effettuabili nel comune di residenza o di domicilio”.
L'onere di dimostrare la sussistenza di esigenze legittimanti lo spostamento incombe sull'interessato, che in caso di controlli dovrà produrre all’Autorità autocertificazione resa ai sensi degli artt. 46 e ss. del D.P.R. n. 445/2000: la dichiarazione potrà essere resa direttamente agli operanti anche attraverso la compilazione dell’apposito modulo (scarica modulo autodichiarazione in PDF, aggiornato al 17.03.2020) in dotazione alle Forze di Polizia, ma è comunque preferibile munirsi preventivamente del modulo compilato e della relativa documentazione giustificativa. In ogni caso, come rilevato anche dal Ministro dell’interno nella suindicata Direttiva, la veridicità delle autodichiarazioni potrà essere oggetto di successivi controlli.
La violazione delle restrizioni imposte sugli spostamenti (così come delle altre misure di contenimento della pandemia) configura l’ipotesi di reato contemplata dall’art. 650 cod. pen., concernente l’ Inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità, per cui “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206” (art. 650 cod. pen.)
In aggiunta, si osserva che il rilascio di dichiarazioni mendaci conduce il trasgressore ad ulteriori profili di responsabilità penali in relazione al reato di cui all’art. 483 cod. pen., concernente la Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, per cui “Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni.”
A tutto ciò si aggiunga che il trasgressore incorrere in ulteriori ed assai gravi responsabilità penali laddove contagi un’altra persona, tanto più se il contagio ne cagiona la morte: in tal caso, anche se ignorava di essere infetto, il trasgressore verrà senz’altro chiamato a rispondere di lesioni o di omicidio, quantomeno per colpa se non per dolo, foss’anche a titolo eventuale.
Inoltre, laddove il trasgressore contagi più persone potrà essere chiamato a rispondere del delitto di epidemia di cui all’art. 438 cod. pen. per cui “Chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l'ergastolo” e se anche il fatto dove essere contestato al trasgressore a titolo di colpa troverebbe comunque applicazione l’art. 452 cod. pen., che sanziona i delitti colposi contro la salute pubblica, per cui “Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito: 1) con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscono la pena di morte [ergastolo n.d.r.]; 2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l'ergastolo; 3) con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l'articolo 439 stabilisce la pena della reclusione.“ Non deve nemmeno trascurarsi la normativa di settore, ed in particolare il Testo Unico delle Leggi Sanitarie (R.D. n. 1265/1934) che all’art. 260 sanziona chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l'invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda da lire 40.000 a 800.000.