Sinistri stradali: responsabilità nei tamponamenti a catena in contesti di elevato traffico

Studio Legale Avvocato Carlo Florio - Avvocati Bergamo Italia - sinistri stradali
Ulpiano Checa, La naumachia, 1894

Con ordinanza 18 febbraio 2021, n. 4304, la VI Sezione Civile della Corte di Cassazione, previa una breve ricostruzione della principale casistica, ha confermato che nei c.d. tamponamenti a catena opera la presunzione di responsabilità in capo ai conducenti dei veicoli intermedi ai sensi dell’art. 2054 cod. civ. in tutte le ipotesi in cui in cui il veicolo in questione sia “oggetto di guida” ancorché in una situazione di traffico con veicoli fermi in colonna.

Cass. civ., Sez. VI - 3,  Anno 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

 

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: [omissis]

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

sul ricorso 5891-2019 proposto da: R.I., elettivamente domiciliato in [omissis], presso lo studio dell'avvocato [omissis], rappresentato e difeso dagli avvocati [omissis];

- ricorrente - 

contro 

G.B. S.; - intimata - avverso la sentenza n. 172/2018 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 21/02/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. [omissis]

 

Fatti di causa

Che:

R.I. conveniva in giudizio [omissis], quale impresa designata da [omissis], esponendo di aver subito gravi lesioni alla persona a seguito di un sinistro occorso mentre era alla guida di un ciclomotore, e causato da un'automobile che era fuggita senza prestare soccorso: chiedeva pertanto i conseguenti danni anche non patrimoniali;

 

il Tribunale, davanti al quale resisteva la società di assicurazione, accoglieva parzialmente la domanda, riconoscendo un concorso di colpa paritario;

 

il seguente appello era dichiarato improcedibile con pronuncia cassata da questa Corte con sentenza n. 25585 del 2013;

 

riassunta la lite, la Corte di appello rigettava il gravame osservando che si era trattato di tamponamento a catena e non era stata superata la presunzione di colpa concorrente prevista dall'art. 2054 c.c., comma 2, mentre mancava una puntuale critica alla liquidazione del danno patrimoniale operata in prime cure, essendosi solo proposti svariati criteri differenti di calcolo per l'intero, a scelta della Corte;

 

avverso

questa decisione ricorre per cassazione R.I. articolando due motivi. 

 

Ragioni della decisione

Che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2054, 2697 e 2727 c.c., art. 115 c.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato, con ragionamento abnorme, affermando, apoditticamente, l'avvenimento di un tamponamento a catena, mentre, come accertato dal medesimo Collegio di merito, si era trattato di un tamponamento avvenuto con veicoli fermi in colonna, sicché, in difetto di una mancante prova liberatoria del primo tamponante, la responsabilità avrebbe dovuto concludersi essere rimasta in capo a quest'ultimo, con superamento della presunzione di concorso di colpa operante nei diversi casi di tamponamento a catena;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato omettendo di pronunciarsi sulla censura inerente alla liquidazione del danno patrimoniale, negando vi fosse stata idonea critica sul punto alle opzioni della decisione di primo grado ma, al contempo, affermando che erano stati proposti differenti criteri di calcolo;

 

Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c.

 

Rilevato che il primo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;

 

questa Corte ha chiarito che:

a) ai sensi del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 149, comma 1, il conducente di un veicolo dev'essere in grado di garantire in ogni caso l'arresto tempestivo dello stesso, evitando collisioni con il veicolo che precede, per cui l'avvenuto tamponamento pone a carico del conducente medesimo una presunzione "de facto" d'inosservanza della distanza di sicurezza;

ne consegue che, esclusa l'applicabilità della presunzione di pari colpa di cui all'art. 2054 c.c. comma 2, egli resta gravato dall'onere di fornire la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto del mezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili (cfr., ad esempio, Cass., 31/05/2017, n. 13703);

 

b) viceversa, nell'ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento, trova applicazione l'art. 2054 c.c., comma 2, con conseguente presunzione "iuris tantum" di colpa in eguale misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull'inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, mentre;

 

c) nel caso di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l'ultimo dei veicoli della colonna stessa (Cass., 19/02/2013, n. 4021, Cass., 15/06/2018, n. 15788);

 

nella fattispecie, la Corte di appello ha accertato che il ciclomotore tamponato, e poi finito contro altro veicolo antistante, "non era fermo" bensì oggetto di "guida" "in una situazione di traffico con veicoli fermi" in colonna (pag. 3 della sentenza impugnata), da questo facendone derivare l'operatività della presunzione ex art. 2054 c.c., comma 2, non superata;

ne deriva che non è applicabile quanto richiamato sub a) e c) bensì sub b);

 

fuori del descritto perimetro residua solamente un tentativo di revisione istruttoria, in questa sede come tale inammissibile;

infatti, è stato reiteratamente ribadito (Cass., 10/09/2019, n. 22525, Cass., 07/11/2019, n. 28619) che in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché, in questa chiave, la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che dev'essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 12/10/2017, n. 23940), fermo il limite dell'art. 348 ter, comma 5, c.p.c.;

 

ciò posto, se la violazione dell'art. 116 c.p.c., è idonea per altro verso a integrare il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda il sopra ricordato principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all'opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta a un diverso regime; viceversa la violazione dell'art. 115 c.p.c., può essere dedotta come analogo vizio solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha finito per attribuire maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., 10/06/2016, n. 11892, Cass., Sez. U., 05/08/2016, n. 16598, pag. 33);

 

la violazione dell'art. 2697 c.c., poi, si configura solamente se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l'onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni (Cass., Sez. U., 05/08/2016, n. 16598, pag. 35);

 

esclusa, come sopra evidenziato, la violazione del riparto dell'onere della prova derivante dall'art. 2054 c.c., comma 2, resta solo una proposta di rilettura in fatto;

 

il secondo motivo è inammissibile; difatti, non si riporta in che termini fossero stati proposti i diversi criteri di non meglio specificato calcolo, con violazione degli artt. 366 c.p.c., nn. 3 e 6;

 

il rispetto dei suddetti parametri è necessario qualunque sia il tipo di errore denunciato, anche "in procedendo", e non può essere assolto "per relationem" con rinvio ad atti del giudizio di appello, senza l'adeguata esplicazione del loro contenuto, dovendo al contrario specificarsi, in modo puntuale, il contenuto degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le specifiche circostanze che potevano condurre, se appropriatamente considerate, a una diversa decisione, e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi (Cass., 31/05/2011, n. 11984, Cass., 29/09/2017, n. 22880, Cass., 25/09/2019, n. 23834);

 

non deve provvedersi sulle spese attesa la mancata difesa di parte intimata.

 

PQM

 

La Corte rigetta il primo motivo e dichiara inammissibile il secondo.

 

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

 

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2021.

 

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021